Nel cuore dell’inverno, quando il freddo stringe le campagne e l’anno nuovo è appena iniziato, le Marche si accendono di una magia antica: la Pasquella, il canto di questua rituale che celebra l’Epifania con musica, accoglienza e festa collettiva. Nata come rito propiziatorio contadino, questa tradizione mescola devozione popolare e convivialità rurale, trasformando ogni borgo in un palcoscenico diffuso. Dalla Vallesina all’anconetano, dal maceratese fino alla costa, squadre di pasquellanti percorrono le vie, bussano alle porte, offrono canti beneauguranti accompagnati da organetto, tamburello e violino, ricevendo in cambio dolci, vino e sorrisi.
La Pasquella è oggi un simbolo di identità marchigiana, riconosciuta come una delle più autentiche manifestazioni di canto rituale dell’Italia centrale. Parteciparvi significa scoprire l’anima più genuina della regione, dove la musica diventa linguaggio di comunità, e il gesto dell’ospitalità si fa dono reciproco.
La Pasquella nelle Marche affonda le radici in antiche pratiche contadine, legate ai cicli agricoli e al culto dei santi protettori del focolare domestico. Il termine “Pasquella” deriva dall’espressione “Pasqua Epifania”, festa di chiusura delle celebrazioni natalizie. In passato, i contadini partivano la sera del 5 gennaio per cantare di casa in casa, chiedendo simbolicamente benedizione e prosperità per l’anno nuovo. In cambio ricevevano vino, salumi e dolci tipici, in un gesto di scambio che non era elemosina, ma rito comunitario di buon auspicio.
La struttura del canto segue uno schema fisso: strofe di saluto, questua, augurio e ringraziamento, spesso concluse da un saltarello — danza in ritmo ternario che scioglie i corpi in festa. Questa sequenza, tramandata oralmente, è documentata anche negli archivi sonori regionali e negli studi di etnomusicologia.
Secondo la tradizione, il periodo rituale si concentra tra il 5 e il 6 gennaio, con varianti locali che proseguono fino a Sant’Antonio Abate (17 gennaio). Nelle campagne la Pasquella coincideva con la fine delle feste e il ritorno ai lavori agricoli, un momento di passaggio stagionale e spirituale. Oggi rappresenta una testimonianza viva di religiosità popolare, unendo canti, fede e memoria collettiva in una festa che continua a evolvere senza perdere autenticità.
Tra i luoghi dove la tradizione è più viva spicca Montecarotto (AN), nella Vallesina, sede della Rassegna Nazionale della Pasquella. Ogni 6 gennaio, squadre provenienti da tutta la regione si esibiscono casa per casa, portando musica, vino e allegria nel borgo. L'edizione 2026 è in attesa di conferma, ma l’appuntamento si ripete tradizionalmente in occasione dell’Epifania.
Ad Ancona, la frazione di Varano ospita ogni anno un corteo cittadino con fisarmoniche, tamburi e cori misti che attraversano i quartieri, fondendo rito rurale e spirito urbano. La manifestazione, dimostra come la Pasquella resti un evento collettivo capace di rinnovarsi nella contemporaneità.
Anche sulla costa adriatica — da Senigallia a Porto San Giorgio — alcune corali locali inseriscono nel calendario invernale canti di questua e spettacoli itineranti. In molte comunità, la Pasquella si intreccia con le feste di Sant’Antonio Abate, confermando il legame con la cultura agricola e pastorale delle Marche.
Chi desidera un’esperienza autentica può abbinare la visita ai borghi della Vallesina con degustazioni di vino Verdicchio, escursioni tra colline e musei del territorio.
Il fascino della Pasquella risiede nella sua architettura sonora semplice ma potente. Gli strumenti protagonisti — organetto diatonico, tamburello a sonagli, triangolo e talvolta violino o fisarmonica — creano un impasto ritmico che sostiene il canto collettivo. Il suono dell’organetto detta la melodia, il tamburello marca il tempo del corteo, il triangolo aggiunge un tocco argenteo e processionale. In alcune aree dell’anconetano compaiono anche trombe e strumenti a fiato, segno di un dialogo con le bande cittadine.
La coralità partecipativa è un elemento distintivo: i cantori si dispongono in cerchio e alternano voci maschili e femminili in chiamata e risposta, culminando nel ritornello “Viva la Pasquella!”. Il risultato non mira alla perfezione tecnica, ma a energia, volume e intelligibilità del testo — qualità ideali per l’esecuzione all’aperto.
Gruppi come La Macina, attivi dal 1968, hanno svolto un ruolo fondamentale nella documentazione e nella diffusione dei repertori popolari marchigiani. Sul sito macina.net è possibile scoprire archivi e ricerche sulle forme corali della Pasquella.
La musica diventa così rito collettivo e patrimonio immateriale, riconosciuto e studiato anche dal Ministero della Cultura tra le pratiche di salvaguardia del canto popolare. Oggi molti giovani si uniscono ai cori, imparando strofe e ritmi dai più anziani: un passaggio generazionale che assicura continuità e identità a una delle tradizioni più genuine della regione.
Partecipare con rispetto: come vivere la Pasquella in modo autentico
Partecipare alla Pasquella non significa solo assistere, ma diventare parte del rito. Chi visita le Marche durante l’Epifania può seguire i cortei, condividere un brindisi o semplicemente intonare un ritornello. È importante però mantenere discrezione e rispetto: i cantori spesso entrano nei cortili e nelle case, quindi fotografare o filmare va fatto solo con il consenso degli abitanti.
Tra i consigli pratici: indossare scarpe comode e abiti caldi, portare con sé piccoli doni simbolici o dolci tipici, e lasciarsi coinvolgere dal ritmo del saltarello finale, momento in cui il canto diventa danza comunitaria.
Le serate si concludono spesso intorno a una tavola imbandita di specialità locali — dal vino cotto alle “pecorelle di sfoglia” dell’anconetano — a testimonianza di una ospitalità genuina che resta al centro dell’esperienza.
Per chi ama il turismo culturale ed esperienziale, la Pasquella rappresenta un viaggio nel tempo e nell’anima rurale marchigiana: una musica vissuta, non da palco, ma da cortile. Scoprirla significa comprendere come, ancora oggi, tradizione e modernità possano convivere in un canto che unisce le persone, le stagioni e la memoria collettiva.